Per introdurre la Campagna ecumenica della quaresima, che inizierà il 15 febbraio prossimo e che è dedicata al tema del cambiamento, Azione Quaresimale invita gli interessati a una conferenza, lunedì 29 gennaio a Bellinzona. La relazione principale è affidata a Carmine Tabarro, esperto di economia civile presso la Banca Prossima a Roma. Egli analizzerà la fase attuale dell’umanità alla luce della crisi che sta vivendo. Una crisi che non è solo economica, ma soprattutto antropologica, filosofica, sociologica, in una parola culturale. L’intervento del professor Tabarro sarà preceduto da una presentazione di Daria Lepori di Azione Quaresimale e da un excursus biblico del professor Ernesto Borghi, dell’Associazione Biblica della Svizzera Italiana, con la cui collaborazione è organizzato l’evento.
In vista della serata, abbiamo posto tre domande al professor Tabarro.
Professor Tabarro, che cosa, pensando in particolare al suo curriculum, l’ha portata a dedicarsi al tema dell’economia civile?
L’esperienza di fede.
Al cuore della nostra fede c’è il mistero dell’incarnazione di Dio: Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazareth, il quale è nato, ha vissuto, è morto come uomo nella storia e in mezzo alla precarietà dell’umanità.
Tuttavia, questa fede che noi confessiamo con le parole, non sempre la viviamo concretamente con tutto ciò che questo comporta: ripetiamo che Dio si è fatto uomo, ma poi non viviamo questa esperienza, non osiamo dare alla carne di Gesù il peso che merita, la realtà che essa è in un corpo umano.
Innanzitutto, dire che Dio si è incarnato non significa dire che Gesù si è fatto uomo è basta, non ha semplicemente unito la natura umana alla sua qualità di Figlio di Dio, ma che è diventato un uomo “singolare”, preciso.
Questa sua esperienza è avvenuta nascendo da una giovane ragazza di Sion, Maria di Nazareth – “nato da donna”, come scrive Paolo (Gal 4,4) – crescendo in umanità pian piano, vivendo e plasmandosi in una famiglia reale, vivendo e nutrendosi di esperienze vissute, dalle contraddizioni affrontate, dal bene e dal male che ha dovuto riconoscere nel mondo e tra gli esseri umani.
È vero come affermano molti teologici, che dovremmo dire non solo che Dio si è incarnato, ma Dio si è umanizzato!
La mia vocazione all’economia civile, nasce da questo Dio che si è chinato sulle mie fragilità e i miei peccati. Dalla venuta del Figlio di Dio che ha rinunciato al privilegio della sua condizione di Dio, spogliandosi degli attributi divini; questo non poteva avvenire se non in una famiglia credente e povera tra quelli che erano gli anawim, i “curvati”, i poveri che aspettavano la salvezza solo da Dio che trovano incarnazione nella società, nella cultura, nell’economia portando la speranza della resurrezione.
Che cosa intende quando parla di «conseguenze antropologiche e culturali del tecno nichilismo»?
Noi continuiamo a pensare la tecnica come uno strumento a nostra disposizione, mentre la tecnica è diventata l’ambiente che ci circonda e ci costituisce secondo quelle regole di razionalità (burocrazia, efficienza, organizzazione) che non esitano a subordinare le nostre esigenze alle esigenze specifiche dell’apparato tecnico.
Tuttavia ancora non ci rendiamo conto che il rapporto uomo-tecnica si è capovolto, e per questo ci comportiamo ancora come l’uomo pre-tecnologico che agiva in vista di scopi iscritti in un orizzonte di senso, con un bagaglio di idee e un corredo di sentimenti in cui si riconosceva. Ma la tecnica non tende a uno scopo, non promuove un senso, non apre scenari di salvezza, non redime, non svela verità: la tecnica funziona e basta.
Quindi come afferma, Heidegger, ciò che è inquietante non è tanto che il mondo si trasformi in un unico enorme apparato tecnico, bensì lo è molto di più il fatto che non siamo affatto preparati a questa radicale trasformazione del mondo.
Come afferma il grande filosofo Günther Anders «Il problema non è cosa possiamo fare noi con la tecnica, ma cosa la tecnica può fare di noi, con noi».
Tutto questo determina un’accelerazione della tecnica a un punto tale da essere assolutamente non tollerabile dalla psiche umana.
Qui voglio fare una condivisione su un rischio molto elevato.
Poniamoci questa domanda: nella civiltà della tecnica, pensiamo che sia ancora possibile che nasca un Leonardo, Michelangelo, un Kant, un Mozart, Beethoven ecc., oppure possono nascere solo geni informativi con tutto quel che comporta
Steve Jobs nella sua autobiografia scrive: «Mi hanno dato più emozioni questi due elettrodomestici di qualsiasi altro pezzo di tecnologia abbia visto negli ultimi anni».
Dopo aver “capito” il cambiamento ci resterà il tempo per ad adattarci ad esso?
Papa Francesco nell’enciclica Laudato sì propone interessanti spunti di riflessione sul ruolo del tecnico nichilismo e sulle conseguenze dell’applicazione dell’attuale paradigma tecnocratico sia sul piano sociale che su quello economico (capitolo 3 paragrafi 1 e 2). Cosa le ha suggerito la lettura dell’enciclica ed in particolare il capitolo terzo? È possibile opporsi all’attuale paradigma tecnocratico sul piano culturale, sociale, politico ed economico? Quali strade percorrere?
L’enciclica è importante e si colloca in una tradizione che parte dalla Rerum Novarum (1891), che affronta la questione del lavoro operaio, che prosegue con la Pacem in terris (1963) e con la Populorum Progressio che si interroga sul rapporto tra il Nord e Sud del mondo e che arriva alla Centesimus Annus (1991) negli anni che segnano la fine del modello sovietico. La Laudato sì pone al centro il tema dell’ecologia umana e ambientale come questione di fondo. L’enciclica coglie il nodo di fondo: la presenza di un paradigma tecnocratico nichilista che separa ed estranea. Le tecnologie applicate al campo umano sono un esempio evidente di questa operazione di separazione. Il papa sottolinea, come aveva già fatto nell’Evangelii Gaudium, che tutto è connesso, unito, cattolico ossia universale. Il papa dice che la scienza e la tecnica sono buone, positive se sono coniugate sul principio relazionale che è costitutivo dell’universo oltre che dell’essere umano. L’enciclica ci invita a contrastare le derive disumanizzanti che distruggono la natura e propone una critica lucida al modello tecno-nichilista indicando un principio diverso: quello dell’unità.
Non dobbiamo operare una demonizzazione della scienza e della tecnica. Un atteggiamento oscurantista e luddista non va bene, non aiuta ad individuare una proposta d’uscita dal tecnonichilismo.
La scienza e la tecnica e la stessa economia hanno dimostrato di essere in grado di produrre cose buone. Quello che bisogna combattere è l’assolutizzazione della tecnica, della finanza, dell’economica e dell’organizzazione sociale che tendono ad escludere tutto il resto, come ad esempio l’umanità, la fede, l’arte, la filosofia, ecc.
Non si tratta di fare battaglie ideologiche fondate sul “no” alla tecnica, sarebbe stupido ed inutile.
A mio avviso l’uscita dall’attuale crisi antropologica comporta di cambiare i nostri paradigmi mentali che ne sono il presupposto e di avviare una fase di innovazione filosofica, culturale, economica, sociale, istituzionale.
Con uno slogan potrei dire: più avanza l’umanizzazione e meno il male ha potere. Solo così il tecno nichilismo non diventa “logica”, come accade nell’attuale sistema economico dove prevale l’angoscia della sopravvivenza
Il tempo in cui viviamo è ricco di opportunità da cogliere e propone diverse linee di indirizzo per investire sul presente e sul futuro che chiamano in causa le nostre capacità, la nostra responsabilità personale e la voglia di collaborare per la costruzione del bene comune.
Intervista di Daria Lepori