Stella, già durante gli studi partecipavi a un progetto di Azione Quaresimale. Che ruolo ha avuto questo impegno nel tuo percorso professionale?
Un ruolo enorme. È stato un trampolino, il primo anello della grande rete di contatti di cui dispongo oggi. Lì ho acquisito competenze che non ho mai smesso di utilizzare.
Di quale progetto si trattava?
Di “Peace Units”, un progetto realizzato da Pax Romana, movimento internazionale di studentesse e studenti cattolici sostenuto da Azione Quaresimale. L’obiettivo era arginare l’ondata di violenza che scuoteva le università del Kenya, interessate da conflitti tra studenti, amministrazioni e governo. Ci sono stati persino omicidi. Ho aderito al progetto nel 1999, a 19 anni. Ho poi fondato una sezione nella mia università e sono diventata coordinatrice nazionale del movimento. Ho seguito ulteriori formazioni e contribuito a rafforzare le competenze di altre persone affinché potessero prendere in mano il proprio destino.
Il profilo
Stellamaris Mulaeh, 45 anni, vive a Wakuru, vicino a Nairobi, con il marito, docente di economia, e i loro due figli di 10 e 12 anni. Fondatrice e direttrice dell’organizzazione Act for Change Trust, questa esperta di sistemi alimentari sostenibili, agroecologia e sviluppo locale collabora con Azione Quaresimale dal 2004. A capo di una squadra di quattro persone, coordina oggi il nostro programma in Kenya, gestendo nello stesso tempo la sua fattoria familiare.
E hai poi ottenuto un incarico presso Azione Quaresimale?
Esatto. Nel 2008 Azione Quaresimale cercava una coordinatrice o un coordinatore per il suo programma in Kenya. Ho presentato la mia candidatura e sono stata scelta. Avevo appena 27 anni. È stato un vero battesimo del fuoco. Dopo le elezioni, il Paese era sconvolto dalla violenza. Il mio primo compito è stato collaborare con le organizzazioni locali per disinnescare la crisi.
Un compito difficile?
Sì, molto! Tanto più che, all’epoca, tutte queste organizzazioni erano guidate da uomini anziani, destabilizzati dall’arrivo di una giovane donna. Non avevo un ufficio e incontravo le organizzazioni partner nei ristoranti. Era a volte provante. Ho chiesto ad Azione Quaresimale di affiancarmi un coach e di formarmi, e la situazione è migliorata poco a poco.
Oggi sei esperta in agroecologia e sviluppo locale: come ci sei arrivata?
Tutto è iniziato nel 2016, quando il programma in Kenya è stato riorientato. In quell’anno abbiamo visitato progetti di Azione Quaresimale in Madagascar, molto avanzati in materia di agroecologia, gruppi di risparmio e approccio basato sulla solidarietà. In Kenya, il maggiore ostacolo era la diffidenza.
Stella segue da vicino i nostri progetti e spesso si reca in regioni remote del Kenya.
In che senso?
La fiducia reciproca è assolutamente necessaria per gestire collettivamente il denaro dei gruppi di risparmio. Qui, però, le persone diffidavano profondamente le une delle altre, a causa delle numerose truffe sperimentate in passato. Non cucinavano né mangiavano insieme, per timore di essere avvelenate o vittime di stregoneria. Abbiamo iniziato con pochissimi partecipanti e gruppi molto piccoli. Abbiamo mantenuto i metodi che davano buoni risultati e imparato dalle difficoltà prima di ampliare le attività. E poiché nessuna regione funzionava esattamente come un’altra, abbiamo costantemente affinato l’approccio. Oggi queste modalità di lavoro migliorano la vita di migliaia di persone.
Quali sono le chiavi di questo successo?
Sono diversi fattori: la prospettiva di lungo periodo, il dialogo, la formulazione di una visione comune con le persone coinvolte nei progetti, la volontà di adattarsi alle circostanze e alle tradizioni locali, e di lavorare nel contesto culturale del luogo. Senza dimenticare, naturalmente, il contributo finanziario di Azione Quaresimale e il sostegno costante dei partner locali. In definitiva, offriamo alle comunità i mezzi per prendere in mano il proprio destino e intraprendere un percorso di trasformazione fondato sulla solidarietà.
Collabori con altre organizzazioni di cooperazione allo sviluppo. In che cosa l’approccio di Azione Quaresimale è eccezionale?
Molte ONG si limitano a perseguire una trasformazione economica, ma questo da solo non basta a risolvere i problemi del Paese. Azione Quaresimale va oltre, promuovendo anche una trasformazione sociale. È molto raro che un’ONG rafforzi il senso di responsabilità della comunità. Azione Quaresimale è una delle poche a collaborare per molti anni con lo stesso partner secondo una visione di lungo periodo. Questo permette talvolta di assumersi dei rischi e porta a un consolidamento duraturo delle comunità. È un approccio che richiede tempo e non può essere sviluppato semplicemente in un ufficio climatizzato. Nulla sostituisce una collaborazione stretta con la comunità.
«L’attuale governo è molto egoista, parla molto ma non fa nulla.»
L’acquisizione di competenze è l’asse centrale del nostro lavoro. Come funziona in pratica?
Rivalorizziamo i saperi tradizionali e incoraggiamo le comunità a riutilizzarli. Per rafforzarli, trasmettiamo anche nuove conoscenze, in particolare in agroecologia, pari opportunità fra donne e uomini e soluzione pacifica dei conflitti. Tutto parte dal dialogo: la nostra organizzazione partner si reca sul posto, parla con le comunità, ascolta i loro bisogni e le loro idee. Insieme identificano le risorse locali disponibili per intraprendere questo percorso comune e individuano le persone disposte a impegnarsi come mentori. Dopo la fase di formazione, affrontiamo insieme le sfide che emergono. A poco a poco, le persone che compiono progressi diventano fonte di ispirazione per il resto della comunità.
Quante persone in Kenya hanno già beneficiato di questo approccio?
Almeno 60 000 in tutto il Paese, e altre continuano ad aggiungersi. Grazie al nostro accompagnamento, molte comunità hanno intrapreso un percorso di trasformazione e ora proseguono autonomamente.
La nostra coordinatrice guarda con preoccupazione all’attuale situazione in Kenya.
Ci sono stati anche degli insuccessi?
Sì, quando i nostri valori e quelli di un partner o di una comunità non coincidono. Oppure quando un partner cresce troppo rapidamente e incontra problemi interni. La capacità degli organi direttivi è allora fondamentale.
Qual è il tuo sguardo sulla situazione attuale in Kenya?
Il mio Paese sta purtroppo attraversando un periodo difficile. L’attuale governo si comporta in modo molto egoista: fa molte promesse, ma agisce poco. Il divario tra ricchi e poveri continua ad ampliarsi e il numero di persone vulnerabili aumenta. Oggi far parte della classe media non garantisce più sicurezza: un imprevisto può far precipitare nella povertà. La disoccupazione è elevata, soprattutto tra i minori di 30 anni, che rappresentano il 70% della popolazione. Nonostante una buona formazione, i giovani non trovano lavoro e non hanno prospettive. Nel contempo, molti Paesi riducono i fondi destinati allo sviluppo.
Qual è l’impatto per il Kenya?
Lo percepiamo in modo drammatico. I bisogni aumentano mentre le risorse diminuiscono. Il ritiro di USAID è stato devastante. I fondi permettevano, ad esempio, agli ospedali di pagare il personale, una responsabilità che normalmente spetterebbe allo Stato. Anche il mio team e io subiamo le conseguenze: vorremmo sostenere molte più persone, ma non ne abbiamo i mezzi.
E i cambiamenti climatici non fanno che peggiorare la situazione…
Sì, purtroppo! Nel sud del Paese, la stagione delle piogge è sempre più breve; alcune persone, disperate, arrivano a togliersi la vita. Le donne sono particolarmente colpite: devono percorrere distanze sempre maggiori per cercare acqua, mentre le ragazze sono costrette ad abbandonare la scuola per contribuire ai lavori agricoli e domestici. Alcune vengono costrette a sposarsi presto, nella speranza che la famiglia riceva una dote sufficiente per sopravvivere. Di fronte a queste sfide immense, dobbiamo essere estremamente creativi e adattarci rapidamente, combinando scienza moderna e saperi tradizionali.
«Ci vorrebbe un cambiamento radicale.»
Hai costruito una carriera notevole, anche perché non temi di esprimere la tua opinione davanti ai potenti. Da dove viene questo coraggio?
Dal mio percorso personale. Con il tempo ho capito che le persone potenti restano esseri umani che, come me, devono mangiare e hanno problemi. Certo, a volte ho paura, ma continuo a dire ciò che penso, che piaccia o no. Passiamo poco tempo su questa terra: se vogliamo lasciare un segno, dobbiamo osare parlare e agire.
Cosa serve per andare avanti? Quali speranze nutri per il futuro?
Dobbiamo definire le giuste priorità, come individui, come comunità e come Paese. Serve un cambiamento profondo. Tuttavia, dato il contesto mondiale, non è sempre facile mantenere la speranza. Oggi dobbiamo cercarla nelle piccole cose. Ad esempio, quando vedo come il nostro lavoro trasforma la vita delle donne maasai nel sud del Paese e come loro, a loro volta, trasformano la loro comunità, questo alimenta la mia speranza. In fin dei conti, dobbiamo impegnarci a dare il meglio di noi stessi. È tutto ciò che possiamo fare.
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